Torricella in Sabina
Altezza:
604m s.l.m.
Superficie:
25,79km²
Popolazione:
~1.348
La nostra storia
Nel Registro Farfense il paese si trova già menzionato dal 1019 come "portione de ipso castello quod dicitur Torricella" (fu un certo Tedmario, figlio di Giasone, a donare il castello al monastero farfense) così come è citato nel 1047, nel 1059, nel 1066, nel 1079, nel 1086 sempre come Castellum Turricellae, forse in omaggio alla forza feudale della torre, eretta da parte dei primi feudatari.
E' pur vero che, in un antico libro parrocchiale, il sigillo porta ancora il motto "Turris Celiae" a conferma della leggenda sulla bella Celia. Con certezza si sa che l'attuale torre è un resto di un castello dei Brancaleone, proprietario del feudo comprendente anche i castelli di Stipes, Frasso e Ginestra, nel XIV secolo.
Fu poi feudo dei Cesarini che vi eressero il palazzo patrizio, ancora oggi visibile, addossato alla torre stessa.
Il torrione che fa cintura alla chiesa parrocchiale e che ne racchiude l'absibe, ha avuto, nel medioevo una funzione militare per protezione alle invasioni barbariche.
Nel secolo scorso, si aggregarono a Torricella la frazione di Ornaro, staccatasi dal comune di Belmonte Sabino, ed il soppresso comune di Oliveto Sabino, dando origine alla costituzione dell'ancora attuale comune. Passata allo Stato Italiano a seguito delle annessioni del 1860, Torricella fu aggregata alla provincia di Perugia, poi a quella di Roma ed infine a quella di Rieti.
Per quanto riguarda la storia di Torricella è importante ricordare che il paese visse un paio di giornate memorabili dal 21 al 23 Ottobre 1867 quando vi sostò una colonna di circa trecento volontari garibaldini provenienti da Rieti e diretti a Roma, nel corso di quella infelice impresa denominata "campagna dell'agro romano" che si concluse con la drammatica giornata di Mentana.
Così ne riferisce il Barrilli, uno dei volontari, ponendo in risalto le dimostrazioni di generosa ospitalità offerte dalla popolazione: "Sono ottima gente, cortesi senza fronzoli e ospitali con tanto di cuore, come i loro antichissimi padri.".
"I buoni abitanti di Torricella, mossi a pietà del nostro stato... ci offrivano quattordici fucili, cinque dei quali erano stasti caricati due o tre anni innanzi... Comunque fosse, accettammo il presente che in quelle circostanze ci parve la man di Dio...".
La mattina del 23 Ottobre Garibaldi transitava velocemente in carrozza per Torricella diretto a Scandriglia e quindi a Passo Corese per passare il confine, e lo ricorda così il fatto: "Salutati affettuosamente i nostri ospiti cortesi, lasciammo il paese alle due pomeridiane dello stesso giorno accompagnati da un'acquerugiola fine e continua... cantando il "Fratelli d'Italia" al buon popolo di Torricella che ci saluta dai margini della strada maestra, dalle finestre dei casolari, dalle prode dei campi."
Ornaro Alto è situato sopra una collina, vicino al Km. 64 della via Salaria Nuova.
Venendo da Roma si consiglia di uscire all'altezza di tale chilometro e imboccare la via Salaria Vecchia che si trova sulla destra, percorsi 2 Km e mezzo girare di nuovo a destra, seguendo le indicazioni.
Si potrà così ammirare una struttura urbanistica medioevale, molto attraente. Se si scende nella parte più antica e si percorrono a piedi le stradine strette si arriva a respirare l'atmosfera di un tempo. Si consiglia di attraversare con calma tali stradine e di soffermarsi sulla piazzetta "della Rocca".
A questo punto si può ammirare il castello, inizialmente posseduto dalla famiglia Brancaleone e poi dagli Orsini. Le prime notizie certe sul castello risalgono al 1254 quando alcuni scritti testimoniano il suo possesso da parte dei Brancaleone, che lo tennero fino al 1480. Gli Orsini lo tennero fino al 1617, anno in cui passò alla Camera Apostolica e da questa, per enfiteusi, ad alcune famiglie locali.
Molto valida poi la visita alla chiesina medioevale considerata da molti come un gioiello di arte e di misticismo. Essa è dedicata al patrono Sant'Antonino Martire. Vi è un abside ornata da affreschi quattrocenteschi di scuola romana, un altare composto da un basamento si pietra scolpita la quale rappresentava la quarantaduesima pietra miliare dell'antica Salaria e una mensa rettangolare, anch'essa di pietra, con iscrizioni del XII secolo.
Oliveto sorge su una collina a circa 620 m. (s.l.m.) nell'area che in epoca romana fu il centro abitato dai Trebulani e dai Mutuesci, sviluppato economicamente per le numerose attività agricole e commerciali. Già un codice farfense del VII sec. d. C. parla dell'Oppidum (piccola città fortificata) di Oliveto, sorto sulle rovine di "Trebula Mutuesca". Castrum Oliveti (il Castello di Oliveto) si trova menzionato nel Regesto farfense allorché, nel 1085, un certo Cencio figlio di Taibrando fece dono di questo territorio all'Imperiale Abbazia di Farfa.
Nel 1390 l'Abate Nicolò II lo diede in feudo ai Brancaleoni, che lo tennero fino al 1584; il 24 aprile di quello stesso anno, Domenico Jacobucci, figlio di Margherita Brancaleoni e Lorenzo Jacobucci, vendette il castello al cardinale Pier Donato Cesi. L'erede del cardinale, Domitilla Cesi, autorizzata dal Papa Alessandro III con chirografo del 25 giugno 1658, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Barberini; in seguito, con lettera chirografa del 18 dicembre 1682, il Papa Innocenzo XI autorizzò Maffeo Barberini a vendere Oliveto e Posticciola ai Santacroce.
Nel 1696, con ogni probabilità, fu dedicata la Chiesa di Santa Prassede al Fosso, come risulta dall'iscrizione posta sulla sommità dell'affresco ivi contenuto e di recente restaurato (1996): si può, dunque, ritenere che fu completata sotto il principato dei Santacroce. Il Prìncipe Valerio Santacroce, autorizzato dal Papa Benedetto XIV con chirografo del 13 settembre 1750, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Belloni, l'eredità dei quali, poi, fu assunta dai Cavalletti.
Dopo la caduta dello Stato Pontificio, con la "breccia di Porta Pia" nel 1870, Oliveto fu accorpato al Comune di Torricella in Sabina, del quale, tuttora, è frazione.
Oggi Oliveto è un piccolo centro che ha subìto i duri contraccolpi dello spopolamento, ma conserva bellezze storico-artistiche e naturali che lo rendono mèta ambìta per trascorrere le ferie estive e i fine settimana, anche a motivo delle numerose attività culturali, sportive e ricreative, promosse dalla locale Pro Loco. Di particolare interesse sono il Palazzo Parisi e la cinquecentesca Chiesa del Santissimo Salvatore, rifatta internamente negli anni 1929 - 31. Tali lavori, fatti eseguire dal Parroco pro tempore don Carlo Quarello, sono documentati da alcuni preventivi di spesa, conservati nell'archivio parrocchiale, e relativi alla tinteggiatura interna: sulla vòlta, poi, sono raffigurati gli stemmi del Papa Pio XI (1922- 1939) e del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi (1925- 1941). Di notevole interesse è anche la Chiesa rupestre di Santa Prassede, immersa nel verde, che conserva un affresco del 1696 raffigurante la Vergine al centro e, ai lati, Santa Barbara, Patrona della Diocesi di Rieti e Santa Prassede, patrona di Oliveto, che viene ricordata il 21 luglio di ogni anno e la prima domenica di settembre, con una festa di cui gli olivetani vanno orgogliosi.
E' pur vero che, in un antico libro parrocchiale, il sigillo porta ancora il motto "Turris Celiae" a conferma della leggenda sulla bella Celia. Con certezza si sa che l'attuale torre è un resto di un castello dei Brancaleone, proprietario del feudo comprendente anche i castelli di Stipes, Frasso e Ginestra, nel XIV secolo.
Fu poi feudo dei Cesarini che vi eressero il palazzo patrizio, ancora oggi visibile, addossato alla torre stessa.
Il torrione che fa cintura alla chiesa parrocchiale e che ne racchiude l'absibe, ha avuto, nel medioevo una funzione militare per protezione alle invasioni barbariche.
Nel secolo scorso, si aggregarono a Torricella la frazione di Ornaro, staccatasi dal comune di Belmonte Sabino, ed il soppresso comune di Oliveto Sabino, dando origine alla costituzione dell'ancora attuale comune. Passata allo Stato Italiano a seguito delle annessioni del 1860, Torricella fu aggregata alla provincia di Perugia, poi a quella di Roma ed infine a quella di Rieti.
Per quanto riguarda la storia di Torricella è importante ricordare che il paese visse un paio di giornate memorabili dal 21 al 23 Ottobre 1867 quando vi sostò una colonna di circa trecento volontari garibaldini provenienti da Rieti e diretti a Roma, nel corso di quella infelice impresa denominata "campagna dell'agro romano" che si concluse con la drammatica giornata di Mentana.
Così ne riferisce il Barrilli, uno dei volontari, ponendo in risalto le dimostrazioni di generosa ospitalità offerte dalla popolazione: "Sono ottima gente, cortesi senza fronzoli e ospitali con tanto di cuore, come i loro antichissimi padri.".
"I buoni abitanti di Torricella, mossi a pietà del nostro stato... ci offrivano quattordici fucili, cinque dei quali erano stasti caricati due o tre anni innanzi... Comunque fosse, accettammo il presente che in quelle circostanze ci parve la man di Dio...".
La mattina del 23 Ottobre Garibaldi transitava velocemente in carrozza per Torricella diretto a Scandriglia e quindi a Passo Corese per passare il confine, e lo ricorda così il fatto: "Salutati affettuosamente i nostri ospiti cortesi, lasciammo il paese alle due pomeridiane dello stesso giorno accompagnati da un'acquerugiola fine e continua... cantando il "Fratelli d'Italia" al buon popolo di Torricella che ci saluta dai margini della strada maestra, dalle finestre dei casolari, dalle prode dei campi."
Ornaro Alto è situato sopra una collina, vicino al Km. 64 della via Salaria Nuova.
Venendo da Roma si consiglia di uscire all'altezza di tale chilometro e imboccare la via Salaria Vecchia che si trova sulla destra, percorsi 2 Km e mezzo girare di nuovo a destra, seguendo le indicazioni.
Si potrà così ammirare una struttura urbanistica medioevale, molto attraente. Se si scende nella parte più antica e si percorrono a piedi le stradine strette si arriva a respirare l'atmosfera di un tempo. Si consiglia di attraversare con calma tali stradine e di soffermarsi sulla piazzetta "della Rocca".
A questo punto si può ammirare il castello, inizialmente posseduto dalla famiglia Brancaleone e poi dagli Orsini. Le prime notizie certe sul castello risalgono al 1254 quando alcuni scritti testimoniano il suo possesso da parte dei Brancaleone, che lo tennero fino al 1480. Gli Orsini lo tennero fino al 1617, anno in cui passò alla Camera Apostolica e da questa, per enfiteusi, ad alcune famiglie locali.
Molto valida poi la visita alla chiesina medioevale considerata da molti come un gioiello di arte e di misticismo. Essa è dedicata al patrono Sant'Antonino Martire. Vi è un abside ornata da affreschi quattrocenteschi di scuola romana, un altare composto da un basamento si pietra scolpita la quale rappresentava la quarantaduesima pietra miliare dell'antica Salaria e una mensa rettangolare, anch'essa di pietra, con iscrizioni del XII secolo.
Oliveto sorge su una collina a circa 620 m. (s.l.m.) nell'area che in epoca romana fu il centro abitato dai Trebulani e dai Mutuesci, sviluppato economicamente per le numerose attività agricole e commerciali. Già un codice farfense del VII sec. d. C. parla dell'Oppidum (piccola città fortificata) di Oliveto, sorto sulle rovine di "Trebula Mutuesca". Castrum Oliveti (il Castello di Oliveto) si trova menzionato nel Regesto farfense allorché, nel 1085, un certo Cencio figlio di Taibrando fece dono di questo territorio all'Imperiale Abbazia di Farfa.
Nel 1390 l'Abate Nicolò II lo diede in feudo ai Brancaleoni, che lo tennero fino al 1584; il 24 aprile di quello stesso anno, Domenico Jacobucci, figlio di Margherita Brancaleoni e Lorenzo Jacobucci, vendette il castello al cardinale Pier Donato Cesi. L'erede del cardinale, Domitilla Cesi, autorizzata dal Papa Alessandro III con chirografo del 25 giugno 1658, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Barberini; in seguito, con lettera chirografa del 18 dicembre 1682, il Papa Innocenzo XI autorizzò Maffeo Barberini a vendere Oliveto e Posticciola ai Santacroce.
Nel 1696, con ogni probabilità, fu dedicata la Chiesa di Santa Prassede al Fosso, come risulta dall'iscrizione posta sulla sommità dell'affresco ivi contenuto e di recente restaurato (1996): si può, dunque, ritenere che fu completata sotto il principato dei Santacroce. Il Prìncipe Valerio Santacroce, autorizzato dal Papa Benedetto XIV con chirografo del 13 settembre 1750, vendette i castelli di Oliveto e Posticciola ai Belloni, l'eredità dei quali, poi, fu assunta dai Cavalletti.
Dopo la caduta dello Stato Pontificio, con la "breccia di Porta Pia" nel 1870, Oliveto fu accorpato al Comune di Torricella in Sabina, del quale, tuttora, è frazione.
Oggi Oliveto è un piccolo centro che ha subìto i duri contraccolpi dello spopolamento, ma conserva bellezze storico-artistiche e naturali che lo rendono mèta ambìta per trascorrere le ferie estive e i fine settimana, anche a motivo delle numerose attività culturali, sportive e ricreative, promosse dalla locale Pro Loco. Di particolare interesse sono il Palazzo Parisi e la cinquecentesca Chiesa del Santissimo Salvatore, rifatta internamente negli anni 1929 - 31. Tali lavori, fatti eseguire dal Parroco pro tempore don Carlo Quarello, sono documentati da alcuni preventivi di spesa, conservati nell'archivio parrocchiale, e relativi alla tinteggiatura interna: sulla vòlta, poi, sono raffigurati gli stemmi del Papa Pio XI (1922- 1939) e del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi (1925- 1941). Di notevole interesse è anche la Chiesa rupestre di Santa Prassede, immersa nel verde, che conserva un affresco del 1696 raffigurante la Vergine al centro e, ai lati, Santa Barbara, Patrona della Diocesi di Rieti e Santa Prassede, patrona di Oliveto, che viene ricordata il 21 luglio di ogni anno e la prima domenica di settembre, con una festa di cui gli olivetani vanno orgogliosi.

Torricella in Sabina
Torricella in Sabina e le frazioni di Ornaro, Alto e Basso e Oliveto, è un Comune costituito da un territorio vasto e ricco di storia e di tradizioni.
È una realtà complessa e variegata, anche se potrebbe sembrare il contrario, trattandosi di un centro rurale venutosi a costituire così come è attualmente dopo l’Unità d’Italia, con le ristrutturazioni che portarono all’uscita di Ornaro dal Comune di Belmonte e l’accorpamento di Ornaro e Oliveto a Torricella.
Potremmo sottolineare alcuni aspetti che sono da valorizzare e coltivare in modo speciale e che costituiscono la natura profonda del nostro centro: l’ambiente, la storia, le tradizioni.
L’ambiente è incontaminato, ricco di acqua, di vegetazione, di animali: è una realtà da proteggere, da sviluppare con attenzione per salvaguardare le caratteristiche che la contraddistinguono, senza tagliarla fuori dalle sfide di oggi. Non è facile tenere in equilibrio la conservazione di un patrimonio naturale con le esigenze e le prospettive dello sviluppo, ma è uno dei nostri obiettivi.
La storia ci ha lasciato testimonianze indelebili, forse anche poco conosciute, ma lì troviamo la nostra identità e le nostre radici, dall’età romana (si pensi al Ponte Sambuco), al grande sviluppo che va dal Medioevo al 1800, come pure alla nuova configurazione successiva all’Unità d’Italia, alla testimonianza delle numerose chiese sparse nel territorio, sia nei centri abitati che nelle campagne, quale segno della religiosità, ma anche della sensibilità artistica e dell’interesse culturale di chi guidava queste comunità nel passato.
Le tradizioni popolari, sia di derivazione religiosa che profana, che spesso si confondono e si contaminano dando vita a qualcosa di unico e originale: dalla leggenda di Torricella, alla presenza degli Orsini a Ornaro Alto, rievocata con il “Palio degli Orsini”, alle feste religiose dei Patroni dei quattro Borghi, alle sagre e alle manifestazioni culturali che arricchiscono quasi tutti i mesi dell’anno.
È una realtà complessa e variegata, anche se potrebbe sembrare il contrario, trattandosi di un centro rurale venutosi a costituire così come è attualmente dopo l’Unità d’Italia, con le ristrutturazioni che portarono all’uscita di Ornaro dal Comune di Belmonte e l’accorpamento di Ornaro e Oliveto a Torricella.
Potremmo sottolineare alcuni aspetti che sono da valorizzare e coltivare in modo speciale e che costituiscono la natura profonda del nostro centro: l’ambiente, la storia, le tradizioni.
L’ambiente è incontaminato, ricco di acqua, di vegetazione, di animali: è una realtà da proteggere, da sviluppare con attenzione per salvaguardare le caratteristiche che la contraddistinguono, senza tagliarla fuori dalle sfide di oggi. Non è facile tenere in equilibrio la conservazione di un patrimonio naturale con le esigenze e le prospettive dello sviluppo, ma è uno dei nostri obiettivi.
La storia ci ha lasciato testimonianze indelebili, forse anche poco conosciute, ma lì troviamo la nostra identità e le nostre radici, dall’età romana (si pensi al Ponte Sambuco), al grande sviluppo che va dal Medioevo al 1800, come pure alla nuova configurazione successiva all’Unità d’Italia, alla testimonianza delle numerose chiese sparse nel territorio, sia nei centri abitati che nelle campagne, quale segno della religiosità, ma anche della sensibilità artistica e dell’interesse culturale di chi guidava queste comunità nel passato.
Le tradizioni popolari, sia di derivazione religiosa che profana, che spesso si confondono e si contaminano dando vita a qualcosa di unico e originale: dalla leggenda di Torricella, alla presenza degli Orsini a Ornaro Alto, rievocata con il “Palio degli Orsini”, alle feste religiose dei Patroni dei quattro Borghi, alle sagre e alle manifestazioni culturali che arricchiscono quasi tutti i mesi dell’anno.